lunedì 21 marzo 2011

cadere verso l'alto

Anche una cosa leggera, prima o dopo, cade a terra. Ma si può godere la sensazione del volo e farla propria.
Tra l'altro ha più tempo per imparare a volare sul serio.


martedì 15 marzo 2011

what goes around, comes around

Capita, quando mi sbattono una porta in faccia con veemenza, di riportare alle mente il Terzo Principio della Dinamica: azione-reazione, per capirci. Infatti un insulto, proporzionale alla mia velocità di reazione, sale spontaneo, in nome della Fisica newtoniana, suppongo.
Ultimamente ci faccio particolare caso, non solo alle porte che sbattono, ma ad azioni e reazioni; per esempio mi è capitato di pensarlo guardando l'acqua di un fiumiciattolo scorrere e smussare gli spigoli dei massi, che arrotondandosi si rivelano riconoscibili rispetto agli altri.

Quello che mi incuriosisce a riguardo, non è tanto che ci sia una reazione certa alle azioni, ma come spesso cataloghiamo il tutto. Fa comodo non pensare ad ogni cosa che si compie come unica e irripetibile, anche perché potrebbe destare angosce notevoli a vederla così: "Stamattina camminerò in modo nuovo, batterò le ciglia a ritmo sincopato, masticherò solo a sinistra, scriverò con una nuova calligrafia.."
Santo cielo, il mio povero cervello, già logorato dal non far niente, non reggerebbe mai.


Eppure proprio a questo pensavo: si potrebbe. Ogni cosa che impariamo ha fatto un percorso per essere appresa. Personalmente necessito di molta ripetizione meccanica iniziale per ingranare e ingannare la mia resistenza (sento ancora la cantilena per imparare i 7 re di Roma e le tabelline).
Una volta che inizio a capire, però, potrei giocarmela come voglio, ma in genere finisco per accettare il compromesso della ripetizione meccanica:
pigrizia da manuale, non c'è dubbio.

Ecco. Pigrizia. Eh no: BASTA!



Umanamente parlando faccio come fanno un po' tutti: aspetto casi estremi per reagire a dovere, per incazzarmi sul serio o voler bene alla grande. E invece no. Invece è necessario trovare un'altra soluzione, cambiare le mosse.
C'è una tragedia immane che ci coinvolge tutti? L'Italia degli opinionisti si stupisce perché il Giappone lotta e soffre con dignità. Perché non si piange addosso, perché vive il suo dolore senza strapparsi i capelli. Eppure ha paura. Certo. Non dovrebbe?

Come se fosse normale fingere che vada tutto bene finché non succede qualcosa di tremendo, per poi reagire malamente e in modo irrazionale. L'essere umano è da sempre un bel gradasso, ma pare che, particolarmente nella nostra società ricca di oggetti e poco di ascolto interiore, nessuno voglia effettivamente una nostra azione adulta, ma piuttosto tante piccole reazioni infantili, perdute e facilmente manipolabili.
Non dovremmo pretendere di averla anche noi, quella dignità? Non, come ha detto tra le righe Ferrara, per affermare che in fondo se ci agitiamo di meno le cose si risolvono da sole, ma per imparare a stare al nostro posto.
Sul serio.

Serve forse alla carriera di un atleta correre credendo, ingenuamente, di poter raggiungere la velocità della luce? Non è profondamente frustrante e stupido pensare di poterlo fare, senza magari neanche allenarsi a livello di una gara campestre?

A me sembra che non ci stiamo affatto allenando: confondiamo l'incoscienza col coraggio, il vittimismo col dolore, l'arroganza con la responsabilità.
Perché ci sia
autentica dignità bisognerebbe capire se stiamo correndo o se fingiamo di volerlo fare.
Ad ogni modo è il caso di scegliere, prima che la decisione sia inevitabile: in quel caso non sarebbe altro che un ripiego.

venerdì 11 marzo 2011

anemia

In genere ascolto il silenzio con piacere. Ci sto immersa così tanto che riempie i rumori esterni ed i vuoti dentro.

In questi giorni, invece, il silenzio sembra inseguirmi e mi chiede attenzioni che non voglio dargli: non riesco a concentrarmi su qualsiasi cosa, neanche imbrogliandomi con qualche vecchio trucco; non riesco a capire cosa voglio sentire, né ad ascoltare come vorrei, a dire quel che vorrei, col significato che voglio dare. Non mi viene con la solita naturalezza il cedere il passo o l'accelerarlo, l'inerzia mi passeggia accanto fiera, ma senza espressione.
Dimentico di frenare la camminata al momento giusto, alzo gli occhi e non vedo subito: fisso per un po' e, solo dopo qualche minuto, metto a fuoco. E neanche questo basta. Un cambio di espressione di chi mi sta davanti mi fa capire che il mio comportamento è diverso dal solito, ma le mie scuse a riguardo non sono credibili, perché non raggiungono la luce degli occhi che illumina altrove.
Chiamo anemia questo stato di apatia scombinato, questo agire compulsivo e rassegnato. Chiamo anemia quando, per la stanchezza che mi pesa addosso, non so reggere un piccolo rifiuto, quando mi sale alla gola un litigio che a volte reprimo in serietà, altre volte diventa un grido fastidioso, perché affaticato più che deciso. Chiamo anemia correre senza sentire fatica né entusiasmo, il tagliare con un coltello affilato l'aria che respiro con cui, in questi momenti, mi rifiuto di mescolarmi fino in fondo.
E' una sensazione di penombra che non fa male, non sa ferire né conquistare. Come quelle musiche che ti entrano dentro perché sono malinconiche esattamente nel modo in cui tu ti senti e che, come un circolo vizioso, ti consumano il tempo. Spesso finiscono per nauseare. I labirinti allenano la memoria, ma sfiniscono la pazienza.

Poi, senza un vero perché, senza sforzi apparenti mi viene da ridere. Mi dico che è tutto nella mia testa, tutto sta lì e lì decide cosa diventare, decide come sfiorarmi. Facendomi il solletico, irritandomi, pugnalandomi, realizzandomi.
Chiamo me stessa il momento in cui riesco, senza paura, a guardarmi accartocciata su me stessa e, nonostante quello che vedo non mi piaccia, riuscire a rialzarmi. La fatica che si fa nel tirarsi su è un'energia che sembra spesa. In realtà è conquistata.


lunedì 7 marzo 2011

Nulla si crea, nulla si distrugge..

Se milioni di persone mangiano, consumano e distolgono lo sguardo da tutto il resto, c'è qualcuno che da qualche parte agisce eccome. Sfruttato o sfruttatore, da qualche parte qualcuno dà equilibrio al nostro non agire: rimettendoci o approfittando di quell'ignavia feroce che ci assale quando non siamo in diretto pericolo. Anzi quando crediamo di essere al sicuro.

Stupidamente, sono stata troppo a guardare, pur sapendo, pur capendo. Pur potendo fare qualcosa. A stare immobili, si è certi solo di una cosa: che da qualche parte qualcuno subirà quel non agire.




Forse la Terra gira per ricordarci di non stare fermi, di non lasciarci stare. Mai.

giovedì 3 marzo 2011

Ne ho vedute tante da raccontar..

Bene. Ruby è nata a due anni. Facciamocene una ragione.

Due minuti di silenzio per la mamma.
E per le elefantesse asiatiche, che consolavano la fatica di 645 giorni di gestazione, pensando di detenere almeno un record.

Pietà.



Accusatelo di maltrattamento psicologico di pachidermi: stai sicuro che al Tg1 di elefanti si parla più che di Verità.



.. giammai un elefante volaaaaar.

mercoledì 2 marzo 2011

imbecille, nel senso che imbelle.

C'è un'unica reazione che sia effettivamente utile e sensata di fronte all'imbecillità umana. Mi riferisco alla stupidità ignorante, quella che nemmeno la Verità riesce a scalfire, perché più grande è la Libertà di non ascoltarla.
A poco serve detestarla, giudicarla, deriderla, nasconderla. Anzi, ti ha già vinto in partenza, portandoti al suo gioco.

Però si può tenere lo sguardo, fissarla negli occhi. Non troppo, per non rimanerne avviluppati in modo pericoloso, ma abbastanza da domandarsi:

"
Oh, ma se io fossi così? Se diventassi così?".

C'è sempre questa possibilità, fosse anche remota, ma c'è.
Il ribrezzo che provo nel sentire l'ignoranza avanzare come un fiume, legittimata, travestita; nel vederla scorrere fiera per le nostre strade, agghindata anche grazie al mio silenzio, al mio osservare timido, al mio dire poco e pensare che ora non ho tempo di fare qualcosa di concreto per cambiare le cose.. beh quest'indignazione focosa verso la stupidità, che anche in me respira e cerca spazio, mi rafforza.
Dà senso ai miei passi avanti, quelli invisibili, quelli interiori che mi impediscono di fare alcune cose, non perché vietate socialmente, ma perché rifiutate da me, nel profondo.

Ogni mio no di fronte a certe assurdità, di fronte a persone che le coltivano quando invece dovrebbero essere i primi a spegnerle, ogni no di chi mi circonda, ogni sì che si trasforma in un no deciso, mi permette di sognare qualcosa di meno mediocre, migliore e più genuino. Onesto.
Mi fa credere nelle persone e nella possibilità che alcuni sbagli passino sì, dall'ig
noranza, ma altri, quelli che ci fanno cambiare e crescere, derivino solo da un eccesso di vita che non ha ancora conquistato il suo equilibrio.


"Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l'imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile."